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Lo dicono i manuali di storia dell’arte, e lo dissero già cinque secoli fa tutti coloro che cercarono di definire la particolarità della pittura veneziana: l’arte del colorire è lo ‘specifico’ di quella pittura. Che vuol dire certo tecnica, tavolozza e materia, ma pure vetri e pietre e stoffe e tessuti, cioè la sostanza stessa della ricchezza nella città dei mercanti. E anche trasparenze di cieli e brume di laguna nel variare di giorni e stagioni nella città che allo ‘stato da mar’, da cui proveniva la potenza di un impero commerciale garantito da una flotta a lungo invincibile, volle e seppe unire
la complessità di uno ‘stato da terra’. È invenzione di colori che forse esistono in natura, ma che si accostano fra loro con sostanza di lume in forme così inattese e nuove, portatrici di sentimenti e sottili condizioni psicologiche tali da generare nell’osservatore un originale turbamento, ove fantasia e memoria, sentimenti e suggestioni si fondono e alternano in misura singolare e duratura.
E di questa poesia del colore saranno maestri incontrasti gli eredi cinquecenteschi di Giovanni Bellini: Tiziano, Tintoretto e Veronese, artefici di un linguaggio che nessuno saprà mutare fino alla rivoluzione cubista del secolo breve, considerati ancora maestri dalla stagione impressionista. In un racconto per immagini il dialogo al vertice dell’arte occidentale per ricordare un’eredità magistrale
e il ruolo essenziale della pittura veneta nel farsi della grande Storia dell’Arte……..

 

 

Giovanni Carlo Federico Villa

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